Il mondo del disturbo bipolare. Parla il prof. Giulio Perugi: i legami con neurodegenerazione e suicidi. E quali sono le ultime frontiere della ricerca

disturbo bipolare

Lo sappiamo: sempre più spesso sentiamo parlare di disturbo bipolare senza che poi tutti comprendiamo fino in fondo di cosa si sta parlando. Eppure parliamo, secondo gli ultimi dati, di una patologia che colpisce oltre l’1% della popolazione mondiale, indipendentemente dalla nazionalità, dall’origine etnica o dallo status socioeconomico. «Di fatto è un disturbo dell’umore, una condizione in cui esistono oscillazioni tra due opposte fasi dell’umore: la fase depressiva e la fase maniacale caratterizzata da eccitamento/euforia», spiega uno dei massimi esperti del tema in Italia e non solo, il professore e psichiatra Giulio Perugi.

Partiamo da principio, professore. Quando nasce il disturbo bipolare?
Indicativamente negli anni Cinquanta e diventa ufficiale in psichiatria a partire dagli anni Ottanta. Prima si parlava di malattia maniaco-depressiva ma era senz’altro un termine più generico. Ora invece sono state per così dire isolate tutte quelle forme che possono rientrare in una categoria più omogenea.

Quali sono i caratteri del disturbo bipolare?
Innanzitutto questo disturbo coinvolge in maniera complessa la totalità dell’individuo determinando oscillazioni dell’energia, delle prestazioni cognitive, dell’attenzione, della concentrazione, delle capacità di critica e di giudizio. Spesso il disturbo è di difficile riconoscimento in quanto con grande facilità è associato ad altri disturbi psichiatrici come il disturbo di panico, il disturbo ossessivo compulsivo, i sintomi psicotici, l’abuso di sostanze ed i disturbi del controllo degli impulsi. I pazienti affetti da questa malattia possono avere  gravi conseguenze sulle relazioni sociali, lavorative e familiari, specie quando il disturbo tarda ad essere riconosciuto e curato.

Quanti tipi di disturbo bipolare esistono?
C’è da dire che nella pratica clinica esiste una varietà infinita di tipologie. Però per dare parametri più efficienti si è deciso giustamente di sottotipizzare le forme critiche a seconda della gravità della fase depressiva e di quella maniacale. Da qui si sono stabiliti due tipi di disturbo bipolare: il “tipo1” caratterizzato da forme attenuate di episodi maniacali; e il “tipo2” caratterizzato invece da forme critiche. Però è bene stabilire che possono esserci diverse varianti anche a seconda della tipologia di frequenze. E allora, ad esempio, avremo varianti ad episodio sporadico o cicli rapidi con centinaia di episodi depressivi e/o maniacali nel giro di un tempo relativamente ristretto. Ancora, si potrebbe avere anche la presenza di varianti psicotiche. C’è, infine, anche la tipologia mista…

 

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