Disturbo bipolare, come si cura e come lo si riconosce. Un pendolo tra episodi depressivi e maniacali che colpisce l’1% della popolazione mondiale

personalità

Il disturbo bipolare colpisce oltre l’1% della popolazione mondiale, indipendentemente dalla nazionalità, dall’origine etnica o dallo status socioeconomico [The Lancet, 2016], ed è tra le prime venti cause di disabilità [Bipolar Disorder, 2016]. 

Le fasce di età più coinvolte vanno dai 15 ai 35 anni [World Health Organization, 2019] e, in particolare, il disturbo bipolare colpisce i più giovani, cui può provocare compromissioni cognitive e funzionali che portano persino al suicidio. 

Questi dati danno un’idea dell’impatto, anche sociale ed economico, del disturbo bipolare che, in estrema sintesi, si può definire come un disturbo cronico ricorrente caratterizzato da fluttuazioni dello stato d’animo e dell’energia.

 

Come si riconosce

Nel box sono elencati i sintomi delle due fasi che, tipicamente, attraversano i pazienti [World Health Organization, 2019].

 

Episodi depressivi Episodi maniacali
• tristezza

• perdita di interesse per le cose a cui si era solitamente interessati 

• perdita di energia e stanchezza

• cambiamenti nell’appetito e nel sonno – mangiare e dormire troppo o troppo poco

• sentirsi in colpa o inutili

• bassa autostima

• pensiero più lento, dimenticanze

• difficoltà di concentrazione

• pensieri di autolesionismo e suicidio

• umore elevato – “sentirsi al di sopra del

mondo” – sensazione di assoluta felicità

• eccessiva irritabilità, rabbia

• aumento di energia e/o irrequietezza

• maggiore loquacità

• perdita delle normali inibizioni sociali; disattenzioni finanziarie

• diminuzione del bisogno di dormire

• autostima gonfiata (posso fare qualunque cosa io voglia!)

• distraibilità (incapacità di concentrarsi)

• elevata energia sessuale

 

Gli stati d’animo vanno quindi da periodi estremamente “up”, euforici (episodi maniacali) a periodi molto tristi, “down”, in cui i pazienti hanno bassi o bassissimi livelli di attività (episodi depressivi). 

 

Tipi di disturbo bipolare

Non esiste comunque un’unica forma di disturbo bipolare, ma se ne distinguono tre [The National Institute of Mental Health, 2018].

Il disturbo bipolare I è caratterizzato da episodi maniacali che durano almeno sette giorni (la maggior parte della giornata, quasi ogni giorno) e, in alcuni casi, sono talmente gravi da rendere necessaria un’assistenza di tipo ospedaliero. Gli episodi depressivi in genere durano almeno due settimane. Sono anche possibili episodi di disturbi dell’umore con caratteristiche miste (contemporaneità di depressione e episodi maniacali).

Il disturbo bipolare II si caratterizza per episodi depressivi e episodi ipomaniacali di entità minore rispetto a quelli attraversati dai pazienti affetti dal disturbo di tipo I.

Esiste infine il disturbo ciclotimico (o ciclotimia), in cui in cui episodi ipomaniacali e sintomi depressivi non sono abbastanza intensi o non durano abbastanza a lungo da essere qualificati come tali. In questi casi i sintomi si registrano per almeno due anni negli adulti e per un anno nei bambini e negli adolescenti.

 

Le cure

Il disturbo bipolare non migliora da solo: è necessario l’intervento di uno specialista. Non sempre però è facile riconoscere la necessità di chiedere aiuto. Spesso accade che sia i pazienti, sia le persone a loro vicine, in qualche modo valutino positivamente i periodi euforici delle fasi maniacali, però necessariamente seguiti da crolli emotivi che lasciano depressi, logorati, e spesso sono causa indiretta di problemi finanziari, legali, relazionali [Mayo Clinic, 2021].

Non è del resto facile neppure per lo specialista fare una diagnosi accurata del disturbo bipolare, sia perché al momento non esistono biomarcatori, sia perché l’insorgenza è solitamente legata a un episodio depressivo che può spingere a diagnosticare una depressione unipolare [The Lancet, 2015].

Il trattamento medico riesce comunque ad aiutare molti pazienti, anche quelli affetti dalle forme più gravi. I tipi più comuni di farmaci prescritti sono gli stabilizzatori dell’umore e gli antipsicotici atipici. Gli stabilizzatori dell’umore (come il litio) possono aiutare a prevenire gli episodi maniacali o depressivi o comunque ridurre la loro gravità. Nei piani terapeutici di trattamento agli stabilizzatori dell’umore vengono spesso associati a farmaci che mirino a regolarizzare il sonno e i livelli di ansia. 

In combinazione con i farmaci viene spesso utilizzata anche la psicoterapia, allo scopo di aiutare i pazienti a identificare ed eventualmente modificare emozioni, pensieri e comportamenti. [The National Institute of Mental Health, 2018].

 

La ricerca

Il disturbo bipolare ha avuto una propria definizione solo nella seconda metà del Novecento: la distinzione tra disturbi affettivi unipolari e bipolari si deve infatti, in Europa, a Leonhard (1957), Angst (1966) e Perris (1966) e, negli Stati Uniti, a Winokur e Clayton (1967) [Rivista di Psichiatria, 2008]. Negli ultimi decenni c’è stata quindi un’enorme crescita nel numero degli studi, in particolare – come mostra il grafico – sul disturbo bipolare tra bambini e adolescenti [The International Society for Bipolar Disorders, 2017].

Attualmente le linee di ricerca più interessanti a livello internazionale sono quelle che cercano di definire terapie sempre più personalizzate. Come spiega il professor Antonio Tundo, direttore dell’Istituto di Psicopatologia, “in attesa di nuovi e più efficaci strumenti terapeutici, la ricerca clinica internazionale oggi tenta di individuare, all’interno dei disturbi bipolari, sottotipi più omogenei per poter personalizzare le cure e ottenere la migliore risposta possibile. Sappiamo, per esempio, che sono necessarie terapie differenti se il disturbo è cominciato con una depressione o con un’euforia (polarità di esordio), se le ricadute sono più spesso di tipo depressivo o euforico (polarità prevalente) oppure se le fasi di benessere tra un episodio e l’altro sono lunghe, molto brevi o addirittura assenti (ciclicità continua).”

Tra i tanti studi di ambito prettamente clinico è forse interessante citarne uno dai risvolti anche sociologici, considerato che ribalta la diffusa percezione dei pazienti bipolari come persone violente. Lo studio dimostra come ciò sia il frutto di una sorta di stigma sociale, più che di una effettiva realtà clinica.

Tra i pazienti coinvolti nello studio solo l’1% ha infatti mostrato atteggiamenti aggressivi verso altre persone, mentre in altri casi è stata registrata violenza verso gli oggetti oppure esclusivamente verbale. Inoltre, durante i periodi di benessere gli episodi di violenza registrati tra i pazienti affetti da disturbo bipolare non di discostano, quanto a frequenza, da quelli misurati nel resto della popolazione [Journal of Psychopathology, 2021].

 

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