Internet? Se lo si usa bene ha una potenza enorme. Anche per gli psichiatri. Parla Valerio Rosso: “Si introduca nelle università un insegnamento per imparare a comunicare, anche con i social”

Valerio Rosso

Valerio Rosso lo sa bene: l’etimologia delle parole aiuta sempre quando bisogna comprendere che peso hanno alcuni termini e, soprattutto, come dovremmo noi per primi approcciarci. La parola “virtuale” deriva da “virtus”, cioè potenza, virtù, valore. Ecco perché il grande insieme che tiene dentro tecnologia, social, web, internet non può essere vittima di mistificazione e denuncia tout-court. È un mezzo, uno strumento, una “potenza” (in senso aristotelico) a nostra disposizione. «Dipende dall’utilizzo che se ne fa. E questo può essere positivo o negativo, può portare benefici o essere dannoso. In ultima istanza, dipende dall’utilizzatore, cioè noi», spiega non a caso lo psichiatra, psicoterapeuta Valerio Rosso. Ma Valerio Rosso, che Brain ha avuto la fortuna di intervistare, è molto di più. È anche un divulgatore. Cosa non banale perché meglio di molti altri lascia intendere un concetto fondamentale: «Tutto ciò che ruota attorno alla medicina e alla scienza non può più fare a meno della capacità comunicativa. Gli effetti nefasti dell’incapacità a divulgare li abbiamo visti con il grande caos scoppiato attorno alla pandemia e al Covid-19». Rosso, invece, è uno che sa comunicare. E ha compreso la forza dei social e di internet in questo ben prima di tanti altri. Il suo primo blog, psiconauta.org, è nato nel 2011. E oggi la sua community conta oltre 500mila persone.

 

Diciamo così: lei è la persona più adatta per dirimere una questione. I social, internet, il web: sono o non sono dannosi?

Bisogna partire riconoscendo a questo mondo una potenza incredibile, specie in termini relazionali e divulgativi. Purtroppo la psichiatria, e direi la scienza in generale, è arrivata molto tardi a capire la forza dei social media, per esempio. Ricordo quando andavo io all’università, i professori di allora mi dicevano: “Rosso, ma lasci stare: psichiatria e social non avranno mai a che fare l’un l’altro”. Sono passati anni e ancora oggi la psichiatria è in un ritardo pazzesco. E questo è un grosso rischio.

 

Perché?

Perché se non siamo noi a governare questi strumenti finiamo col diventarne vittime o schiavi. I social, come dicevo, hanno una potenza incredibile e dunque possono ugualmente danneggiare o, perché no, curare: il punto non è il “cosa”, ma il “come” lo utilizziamo. Ma io non mi meraviglierei: è sempre stato così. I social sono come i libri: ci sono tanti libri che riteniamo spesso indecenti, ma a nessuno verrebbe da dire che i libri tout-court sono il male. E così accade con i social. Prendo ad esempio il mio blog: negli anni mi sono accorto non solo che gli strumenti digitali possono garantire un’ampia capacità divulgativa, ma hanno anche una forza anti-stigma, che è fondamentale per una disciplina come la psichiatria per anni osteggiata. Io, ad esempio, nei miei post e video parlo anche di Tso o di elettroshock, eppure non ci sono haters o persone che inveiscono. E questo perché nel tempo si è creata una community che si è fidelizzata e dunque ho la possibilità di affrontare anche argomenti per troppo tempo ingiustamente osteggiati. Ed è questo quello che medici e scienziati non hanno capito…

 

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