Professione Sanità. I danni della pandemia sui più piccoli: isolamento ed evoluzione a rischio. Aumentano i comportamenti aggressivi e casi di fragilità. Triplicate le segnalazioni al Telefono azzurro

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L’inchiesta è tratta dal numero di maggio di “Professione Sanità”

 

L’assenza di contatti con i propri coetanei, l’abitudine a seguire le lezioni attraverso un monitor, con l’ormai nota didattica a distanza, e l’incombente minaccia sulla salute dei familiari. Anche se la pandemia, da un punto di vista epidemiologico, ha risparmiato bambini e adolescenti, l’impatto da un punto di vista psichico è stato notevole. I primi mesi della prima ondata sono stati assorbiti anche bene. Il problema è un altro: sono trascorsi mesi e quella situazione diversa, anomala, si è trasformata in una “nuova normalità”. «In questi mesi stanno esplodendo delle situazioni che prima erano compensate dalle attività svolte dai ragazzi con i loro coetanei», spiega Ernesto Caffo, psichiatra e fondatore di Telefono Azzurro, a Professione Sanità. Cosa significa tutto questo? «C’è – aggiunge Caffo – un evidente aumento della fragilità, come testimonia il fatto che sono triplicate le chiamate a Telefono Azzurro».

Le richieste di aiuto variano dallo stato d’ansia agli sbalzi di umore. Fino al pericolo di possibili atti suicidari. Un’osservazione preoccupante, anche perché le statistiche fanno scattare l’allarme: tra il 2014 e il 2015, un milione e 200mila ragazzi in Europa sono state vittime di comportamenti a rischio. E avveniva ben prima della pandemia, quando i problemi erano ordinari per quella fascia d’età. Difficile immaginare cosa possa provocare un evento così dirompente come il Covid.

Giovanni Biggio, docente dell’Università di Cagliari e autore di decine di pubblicazioni scientifiche, evidenzia la dinamica psicosociale in atto: «Da marzo 2020, con il lockdown, bambini e adolescenti non sono andati più a scuola. In questo c’è un aspetto fondamentale: la socializzazione che è venuta meno. Oltre alla scuola, non è stato più possibile trovarsi con gli amici al campo di calcetto, in palestra, in piscina. Sono questioni fondamentali». Il motivo è profondo: «Le interazioni sociali – osserva Biggio – consentono lo sviluppo evolutivo. Noi umani siamo più sviluppati perché siamo gli esseri viventi che socializziamo di più. Per esempio tra le scimmie, i macachi hanno il cervello più sviluppato, perché hanno una forma di struttura sociale». Una questione evolutiva, quindi…

 

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