Ricercatori di stabilità e di prospettive. I precari della ricerca sanitaria hanno vissuto dei passi in avanti. Ma restano molte criticità. L’inchiesta di “Professione Sanità”

cellule staminali

Ricercatori sempre più precari. E per necessità sono alla ricerca costante di un contratto. È il destino dei ricercatori della sanità italiana, considerati un’eccellenza, come testimonia la visibilità dell’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Ma non è certo l’unico centro in cui ci sono tanti profili di elevata competenza. Qualità a cui non corrisponde una stabilità contrattuale: la precarietà è il marchio distintivo per i circa 3mila ricercatori. E non va certo meglio sotto l’aspetto salariale: oggi la busta paga si ferma sui 1.500 euro mensili. Tanto da rendere improponibili i paragoni con gli altri Paesi europei, ancora peggio se si parla di Stati Uniti. Certo, va detto che la condizione è migliorata rispetto solo a qualche anno fa. In alcuni casi lo stipendio raggiungeva a malapena i mille euro. È stata l’ex ministra Beatrice Lorenzin a ottenere un cambio di passo. Ma la situazione necessita di ulteriori interventi.

La questione è legata alla tipologia contrattuale: medici, biologi, farmacisti sono inquadrati con un contratto di comparto, equiparati dunque a figure tecnico-sanitarie, non quello della dirigenza che avrebbe ben altra remunerazione. Questo genera degli squilibri. La questione è stata spiegata dal sindacato medico Anaoo Assomed: “Negli Irccs esiste una parte sanitaria e una di ricerca. I ricercatori lavorano fianco a fianco con i coloro colleghi, ma hanno un contratto diverso”. Così mentre c’è chi inizia il percorso di carriera con un salario sopra 2.500, il ricercatore, se va bene, ne prende circa mille in meno. Con prospettive alquanto incerte…

 

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