09 Mar
Un recente studio punta l’attenzione sul ruolo svolto dalla microglia nelle fasi precoci della malattia di Alzheimer. Lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista del gruppo Nature “Scientific Reports” dal gruppo di ricerca del Dott. Nicola Origlia, già membro del Comitato Scientifico della Fondazione BRF Onlus, presso l’istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, ha cercato di chiarire alcuni aspetti cellulari e molecolari coinvolti nello sviluppo e nella progressione della neurodegenerazione tipica della malattia di Alzheimer.
La malattia di Alzheimer (AD) è caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, dovuta in parte dalla deposizione extracellulare della proteina β-amiloide che ostacola la funzionalità delle cellule nervose. Tale riduzione funzionale è inizialmente circoscritta a specifiche aree cerebrali e si propaga successivamente in base alle connessioni funzionali. A tale riguardo è stato osservato come i neuroni dello strato II della corteccia entorinale, un’area del lobo medio-temporale fortemente implicata nei fenomeni di apprendimento e memoria, siano particolarmente suscettibili agli effetti di molecole patogene che si accumulano durante l’invecchiamento e le patologie neurodegenerative. In particolare i fenomeni infiammatori regolati da cellule non neuronali (astrociti e microglia) agendo sul peculiare assetto molecolare di questi neuroni contribuirebbero allo sviluppo della neurodegenerazione e della sua propagazione ad aree target, quali ad esempio l’ippocampo.
La ricerca è frutto della collaborazione tra i gruppi di ricerca del Dott. Nicola Origlia e della Prof.ssa Shirley Shi Du Yan (University of Kansas) presso il laboratorio di Neuroscienze del CNR di Pisa. Utilizzando un modello animale di AD, basato sulla espressione delle mutazioni del gene della APP che provocano la patologia umana, si è riusciti a stabilire un esatto ordine gerarchico e cronologico del coinvolgimento di diverse aree nel fenomeni degenerativi associati alla presenza di β-amiloide. Si è riusciti inoltre a capire che l’aumento della sostanza beta- amiloide induce l’attivazione del recettore RAGE espresso dalle cellule immunitarie residenti del cervello, ovvero le cellule microgliali, innescando un processo infiammatorio responsabile del peggioramento della funzionalità neuronale.
I risultati ottenuti dalla Dott.ssa Chiara Criscuolo, primo autore dell’articolo, hanno infatti dimostrato che l’inibizione del recettore RAGE è efficace nel prevenire sia la degenerazione delle sinapsi nella corteccia entorinale che le alterazioni della memoria associativa presenti già ad uno stadio precoce di neurodegenerazione. Lo studio rappresenta un ulteriore tentativo di comprendere la biologia dell’invecchiamento e dei fenomeni degenerativi, e potrà contribuire alla identificazione di specifici bersagli molecolari su cui agire per rallentare la progressione delle alterazioni cognitive nella AD.